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Questa notte il cielo è carico di pioggia. Non promette nulla di buono

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Quella notte pioveva, il mare era in tempesta. Eravamo io, Gil, Roger ed il grandissimo Jefferson, il nostro capitano. La nave sembrava abbandonarci in balia delle onde, parlavamo delle nostre avventure, non vedevamo l’ora di arrivare in Italia, quel paese fantastico, per rilassarci e ripartire per il grande continente. Un’onda pazzesca o forse un drago marino, non so se esiste, picchiò un colpo micidiale e io ed i miei amici ci ritrovammo sul ponte. Non riuscimmo a resistere a quel drago che fu fatale, pensavamo di non farcela. A salvarci fu quel vecchio baule che avevamo sulla nave.

Dopo una nottata in mare, Jefferson capì, non so come, che eravamo vicini alla terra. Gil pregava, non so cosa diceva nella sua disperazione. Certo la voglia di vivere era tanta. Le ultime forze sembravano abbandonarci quando all’improvviso con i miei piedi toccai il fondo, Roger gridò: “Siamo salvi!”. Stremati ci sdraiammo su quella spiaggia incantevole.

Passarono non so quante ore, forse un giorno, prima del nostro risveglio. Ci ritrovammo in un paradiso, Jefferson avvertì che sarebbe stato il suo posto eterno, disse subito: “Io rimarrò qui per sempre”.

Cammina cammina, come nelle favole, percorremmo agrumeti e sentieri botanici pieni d’erbe aromatiche. Lì scorgemmo un Vecchio Magazzino Doganale dove trovammo una famiglia che ci accolse. Giocondo, il proprietario, ci prese a lavorare nel suo magazzino, lui era un venditore di spezie e qualche distillato di contrabbando. Quel magazzino Jefferson lo definiva, non posso mai dimenticarlo, “La Profumeria”.

Passarono anni, non so quanti, ci innamorammo di quel territorio che ci riempiva ogni giorno di sorprese, senza perdere mai quella nostra passione di bere bene. Ognuno di noi aveva la materia prima e la conoscenza per creare un proprio liquore. Io non ci riuscii mai, ma loro si.

Dalle pagine del suo diario

Tra il 1871 e il 1914, Jefferson non poteva non osservare le mode e le tendenze dei salotti delle più grandi città. In quegl’anni, infatti, nasceva la Belle Époque, periodo storico, culturale e artistico, nel quale si distinse l’alta borghesia e furono fatte numerose scoperte e invenzioni come il primo telefono, il cinema, le prime automobili e la radio. Fu una grande sorpresa vedere arrivare Jefferson, nel lontano 1886, alla guida di una ferraglia su tre ruote, piena di casse di legno contenenti le sue bottiglie. Era la prima automobile che io avessi mai visto e la usava per vendere il suo Amaro Importante.

Londra 1888

Mi recai a Londra per condurre un’indagine di mercato sui liquori e speravo di confrontarmi con i maestri distillatori britannici, che godevano di una cultura centenaria in fatto di distillazione di whisky e gin. Ero anche alla ricerca dei locali perfetti dove proporre il mio prodotto, con un vantaggio che tutti gli altri distillati di importazione non avevano, il nome anglosassone: Jefferson. Inoltre, volevo portare una piacevole novità, lì dove i bitter erano poco conosciuti. Jefferson fu subito riconosciuto da tutti come un liquore di notevole qualità, tanto da essere soprannominato da alcuni baristi londinesi “Better Bitter”. La mia visita a Londra non fu solo questo. Una sera fui testimone di qualcosa che ricorderò per sempre. Mi trovavo in una locanda a Whitechapel, nel quartiere ai confini della città, quando già passata da tanto la mezzanotte ed ormai stanco, salutai l’oste e chiamai la mia carrozza. Intrapresa la strada per l’hotel dove alloggiavo, improvvisamente il cocchiere fermò di colpo i cavalli e urlò prepotentemente: « Cosa diavolo stai facendo! ». Io, incuriosito, uscii dalla cabina e vidi un uomo con un mantello nero, cappuccio e lama pronta all’uso. Scappò fulmineo e davanti a noi trovammo una donna in lacrime, impaurita e ferita, ma tutto sommato viva. Margaret era il suo nome e mi guardava come se fossi il suo eroe. Andammo alla centrale della polizia per denunciare l’accaduto e una volta assicuratomi che fosse al sicuro tornai al mio Hotel. Ritornato in Italia, appresi che furono commessi alcuni omicidi a Londra dopo la mia partenza, tutte giovani donne e che l’assassino si faceva chiamare Jack lo Squartatore. Pensai subito a quella notte, a Margaret, a quando il mio arrivo, in qualche modo, aveva fermato quel mostro e all’efferato gesto che stava per compiere. Allora decisi di scrivere a Margaret e, dopo poco tempo, ricevetti la sua lettera di risposta. Ero sollevato nel pensare che le avevo salvato la vita e che, per quel poco che poteva contare, avevo fermato Jack lo Squartatore.